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Invecchiamento che fare

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Rubrica a cura di Regenera Research Group

Epigenetica: i geni e l'ambiente

Il DNA è costituito da un insieme di geni buoni e cattivi esprimono dei messaggi genetici spesso modificabili tramite uno stile di vita corretto. La salute quindi del nostro DNA dipende dalla qualità dell’ambiente cellulare che gli offriamo che è, a sua volta, il risultato di nostri comportanti, stili di vita, abitudini alimentari, capacità di gestire lo stress.

Studi epigenetica – una branca della genetica che descrive tutte le modificazioni ereditabili che non alterano la sequenza di un gene, ma la sua attività – hanno dimostrato che tanto maggiore è la predisposizione a determinate malattie, tanto più bisogna intervenire sull’ambiente correggendo stili di vita e alimentazione, e utilizzando integratori in grado di influenzare positivamente l’espressione dei geni responsabili dell’invecchiamento cellulare.

Autorevoli studi di nutrigenomica hanno inoltre evidenziato che la riduzione delle calorie nella dieta è in grado di proteggere le cellule dall’invecchiamento e dalle patologie ad esso correlate. Mangiare bene e poco è dimostrato quindi che favorisce la longevità, ma è una strategia antiaging destinata al fallimento per la difficoltà a resistere a lungo alle tentazioni della tavola.

Il medico anti-aging americano Vincent Giampapa - fondatore dell'A4M (American Academy of Anti-Aging Medicine) e presidente dell'American Board of Anti-Aging Medicine - ha studiato i 5 meccanismi alla base dell’invecchiamento cellulare (ossidazione, metilazione, glicazione, infiammazione e danneggiamento del DNA) cercando di riprodurre gli effetti positivi della restrizione calorica grazie all’azione di un pool di sostanze naturali che si sono dimostrate efficaci nel controllare i processi metabolici responsabili dell’invecchiamento. “Associando queste sostanze a una correzione personalizzata degli stili di vita” afferma Polimeni, esperto di psiconeuroendocrinoimmunologia e di epigenetica, “è possibile stimolare quei geni che proteggono l’organismo, limitare l’insorgenza delle patologie a cui l’ambiente ci predispone e rallentare l’invecchiamento, anche quello cutaneo, riportando la vitalità dell’organismo a livelli giovanili. Per sentirsi a 50 anni come a 30.”

La riduzione della vitamina D è associata al calo delle funzioni cognitive

Alcuni ricercatori olandesi dell’Università di Utrecht hanno evidenziato una relazione tra ridotti livelli di vitamina D nel sangue e un maggior rischio di declino cognitivo.

La review, pubblicata sulla rivista Ageing Research Reviews, ha preso in esame 25 studi trasversali (che hanno incluso più di 48.000 soggetti) e 6 studi prospettici su più di 10.000 soggetti in un lasso di tempo da 4 a 7 anni.

Nel 71% di questi studi è stata osservata una relazione tra bassi livelli di vitamina D e calo delle funzioni cognitive. Quest’analisi, sebbene non costituisca di per sé un’evidenza clinica, indica la necessità di condurre ulteriori studi per approfondire il ruolo dell’integrazione di vitamina D per prevenire il declino cognitivo nei soggetti con bassi livelli della vitamina.

Fonte: http://www.sciencedirect.com/science/journal/15681637

Test genetico per capire come s'invecchia

Da quando si è concluso il Progetto Genoma, nel 2002, la scienza è sempre più in grado di predire le malattie correlate all’invecchiamento tramite test genetici. Tramite questo test è possibile evidenziare la presenza nel proprio DNA dei geni associati a malattie degenerative, quali l’Alzheimer, in modo che lo specialista in medicina anti-aging potrà cercare di tenerle sotto controllo.

Gli scienziati hanno inoltre dimostrato che non tutti i geni sono funzionanti: alcuni sono attivi, altri disattivi o silenti. Secondo gli esperti, l’attività dei geni è condizionata dallo stile di vita, dall’alimentazione, dall’attività fisica, dallo stress. Ma non solo, anche il nostro modo di pensare può influenzare l’attività dei nostri geni. “Un gene è attivo o disattivo, è espresso o non espresso e somiglia, come dire, a un albero di Natale. La sfida della medicina oggi” - ha dichiarato Polimeni, esperto in medicina nutrigenomica e anti-aging e codirettore di Regenera -, “consiste nel sapere come intervenire sui geni attraverso l’ambiente, cambiando livello di inquinamento, tipo di dieta, lifestyle, stress e pensieri con cui nutrire non solo la mente ma anche la nostra mappa genetica”.

La medicina antiaging - Scapagnini

Aumentare i livelli di magnesio nel cervello per prevenire i disturbi cognitivi

Secondo i ricercatori dell’Università del Texas, la perdita di sinapsi profonde è una delle principali caratteristiche patologiche del morbo di Alzheimer e potrebbe essere alla base della perdita di memoria e dei disturbi cognitivi tipici della malattia.

Da precedenti studi era emerso che il magnesio svolgeva un ruolo chiave nella trasmissione neuronale: il suo corretto apporto porterebbe infatti a un aumento del numero delle sinapsi cerebrali favorendo la plasticità cerebrale - la capacità cioè del cervello di variare funzione e struttura.
Somministrando alle cavie il magnesio-L-treonato (MgT) che aumenta la concentrazione di magnesio a livello cerebrale, i ricercatori hanno potuto verificare che questo oligoelemento può effettivamente migliorare i disturbi cognitivi e contrastare le patologie simili alla malattia di Alzheimer. Tale giovamento veniva inoltre riscontrato anche nelle cavie all’ultimo stadio della malattia.
Il funzionamento dell’MgT sembrerebbe coinvolgere la sintesi di alcuni enzimi fondamentali per la trasmissione dei segnali neuromolecolari all’interno delle sinapsi cerebrali.
Sebbene per il momento il composto sia ancora in fase di studio su animali, i ricercatori si sono dimostrati ottimisti sul fatto che potrebbe avere potenziali sviluppi terapeutici anche per l’uomo.

Fonte: Elevation of Brain Magnesium Prevents and Reverses Cognitive Deficits and Synaptic Loss in Alzheimer's Disease Mouse Model. Journal of Neuroscience, 2013;33(19):8423-8441. Journal of Neuroscience

La cannella protegge le cellule dal morbo di Alzheimer

Uno recente studio condotto dai ricercatori dell'Università di Santa Barbara in California, e pubblicato sul Journal of Alzheimer's Disease, ha rilevato che alcuni composti presenti nella cannella potrebbero aiutare le cellule a prevenire l’aggregazione della proteina Tau, che si verifica nelle cellule cerebrali dei malati di Alzheimer.
La proteina tau è responsabile della formazione dei microtubuli cellulari (strutture rigide che costituiscono lo “scheletro” della cellula); quando queste proteine non riescono ad stabilizzare i microtubuli, essi si aggregano tra loro causando gravi malattie neurodegenerative, dette tauopatie, come il morbo di Alzheimer.
Questo studio, condotto in vitro, ha rilevato che l’aldeide cinnamica e la forma ossidata dell’epicatechina presenti nell’estratto di cannella possono prevenire l’aggregazione della proteina tau, proteggendo la cellula.
Andranno condotti ulteriori studi per verificare se i principi attivi della cannella possono svolgere lo stesso effetto protettivo anche sull’uomo.

La salute degli occhi: combattere la degenerazione maculare

Gli integratori a base di antiossidanti e zinco forniscono benefici a lungo termine per chi soffre di degenerazione maculare senile. Questo è quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista Ophthalmology e condotto dai ricercatori del National Eye Institute statunitense.
La degenerazione maculare è una patologia tipica dell’età avanzata che colpisce la zona centrale della retina chiamata, appunto, macula portando progressivamente a cecità.
Sebbene non esistano ancora cure efficaci per questa patologia, i ricercatori statunitensi hanno evidenziato che la combinazione di beta-carotene, vitamina C ed E, e di zinco porterebbe a una riduzione della sua progressione, effetto che permane anche con il passare del tempo.
Interessante è notare inoltre che nella categoria di pazienti affetti da degenerazione maculare a un solo occhio, coloro che hanno assunto il mix di antiossidanti più zinco abbiano mostrato il 56% di probabilità in meno, rispetto al placebo, di sviluppare la patologia anche nell’occhio sano.

Gli estrogeni: alleati preziosi per il cervello

Esiste e qual è la correlazione tra produzione di estrogeni e declino cognitivo nelle donne?
I ricercatori dell’Università di Toronto hanno cercato di rispondere a questa domanda effettuando uno studio su 126 donne in età post-menopausale, tra i 60 e i 89 anni di età, che non avevano assunto alcuna terapia ormonale.

Le partecipanti sono state sottoposte a test mnemonici, che comprendono test visivi, test verbali e test manuali; i risultati di questi test sono stati analizzati prendendo in considerazione la lunghezza del periodo di fertilità (misurato come tempo intercorso dal primo ciclo mestruale all’entrata in menopausa), l’età della partecipante, la durata dell’allattamento al seno, dell’uso di contraccettivi orali e di altri fattori come l’indice della massa corporea e l’eventuale stato depressivo.

I risultati hanno evidenziato che le partecipanti che avevano avuto un periodo fertile più lungo dimostravano capacità mnemoniche migliori rispetto alle altre.

Questi risultati sembrerebbero indicare che gli estrogeni svolgano un ruolo importante e duraturo nel mantenere le funzioni cognitive inalterate. Inoltre sembrerebbe che i benefici neuro protettivi di un lungo periodo di fertilità si prolunghino anche dopo un lungo periodo post-menopausale.

L'importanza di continuare a fare movimento per mantenere il fisico giovane

L'incidenza delle malattie croniche è in costante aumento nella popolazione mondiale: negli anni '90 rappresentavano il 45% di tutte le patologie, mentre si prevede una crescita fino al 65% nel 2020, con un aumento esponenziale della spesa sanitaria. Le cause di questo fenomeno sono molteplici e in gran parte modificabili, spiega Fabrizio Franchi – Direttore del Reparto Geriatrico dell'Ospedale Civile di Piacenza.

Lo stile di vita, il fumo di sigaretta, l'inquinamento ambientale, l'alimentazione, l'epigenetica (la regolazione di geni difettosi), l'attività fisica, il ruolo dei microrganismi intestinali, la predisposizione di genere a specifiche malattie (ad es. osteoporosi nella donna, malattie cardiache acute nell'uomo prima dei 60 anni), sono tutti fattori su cui si può agire per prevenire le malattie degenerative.

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I fattori che portano uomini e donne a invecchiare diversamente

Diversi sono i fattori che entrano in gioco quando si parla di longevità ed è risaputo che il sesso è uno di questi. Mentre gli uomini sono considerati più forti fisicamente, le donne in genere vivono più a lungo, ma a cosa è dovuta questa differenza? Una review pubblicata su Immunity & Ageing ha preso in considerazione le differenze cellulari, immunologiche, ormonali, genetiche tra i due sessi, oltre ai fattori di tipo socio-culturale, per cercare di trovare una risposta a questa domanda.

La differenza tra maschi e femmine non è solo di tipo sessuale, ma anche “di genere”, ovvero legata al proprio ruolo nella società, al lavoro che si svolge, agli stili di vita e all'attitudine verso prevenzione e cura della salute, che proprio nelle donne risulta oggi essere più accentuata. È noto inoltre che i mitocondri femminili (i corpuscoli dove viene prodotta l'energia all'interno delle nostre cellule) producono meno radicali liberi (specie ossigenate reattive-ROS) rispetto a quelli maschili e che gli estrogeni favoriscono l'aumento del colesterolo HDL (quello “buono”) e la parallela diminuzione di quello LDL (quello “cattivo”).

È emerso, in particolare, che un ruolo chiave per invecchiare bene è svolto dalle risposte immuno-infiammatorie. Secondo una recentissima ricerca effettuata in Giappone, le donne presentano un declino dei parametri immunologici legato all'età meno accentuato rispetto agli uomini e questo ne giustificherebbe l'età biologica inferiore e la maggiore longevità.

Fondamentali sono anche le influenze ormonali e genetiche. Gli estrogeni, ad esempio, stimolano la risposta immunitaria, mentre il progesterone e gli androgeni sembrano ridurla. Inoltre, molte malattie ereditarie vengono trasmesse dal cromosoma X, e dato che la donna ha due cromosomi X, le mutazioni recessive risultano “bilanciate” dal cromosoma X “sano” e la malattia non si manifesta.

In conclusione, sono state identificate diverse molecole e sistemi regolatori che svolgono un ruolo chiave nel determinare la durata della vita e devono essere ancora svelati molti altri meccanismi molecolari che influenzano la longevità in modo da identificare meglio quali strategie anti-aging vanno adottate.

Aging e cervello: nell'ipotalamo un fattore determinante per l'invecchiamento

Secondo un recentissimo studio pubblicato su Nature a maggio 2013, l'ipotalamo gioca un ruolo fondamentale nel processo di invecchiamento. La scoperta riguarda in particolare l'individuazione in questa regione del cervello di una proteina, conosciuta come “NF-kB” (Nuclear Factor kappa-Beta), coinvolta nel processo di infiammazione dei tessuti, tipico dell'invecchiamento. L'infiammazione coinvolge centinaia di molecole e, secondo lo studio, proprio la proteina NF-kB risiede al centro di tale meccanismo infiammatorio dei tessuti. Gli studiosi hanno osservato come l'attivazione della proteina NF-kB riduca nell'ipotalamo la sintesi delle GnRH (Gonadotropin Releasing Hormone), gli ormoni coinvolti nel sistema riproduttivo. I ricercatori hanno inoltre evidenziato che inibendo tale proteina i segnali di invecchiamento si riducono, compreso il sintomo del declino cognitivo. Grazie a questo studio, che richiederà ulteriori sviluppi e analisi, emerge come il processo di invecchiamento è di fatto regolato da un organo del corpo umano, l'ipotalamo appunto, e non è da considerarsi quindi un processo “indipendente”, che si verifica in maniera “autonoma”. Buona parte dei processi di aging sono da attribuire all'ipotalamo, e questo significa che intervenire su questa parte del cervello potrebbe rallentare l'invecchiamento e quindi portare a maggiore longevità.

Calorie in eccesso e attività fisica: la “memoria” del codice genetico

Sovrappeso e obesità sono due problematiche della società contemporanea, a cui sono associate diverse patologie. I dati più allarmanti arrivano dagli Stati Uniti, paese in cui il 70% degli adulti soffre di obesità o sovrappeso e dove i ricercatori stimano che i bambini di oggi saranno la prima generazione che rispetto ai genitori invecchierà più velocemente e avrà una longevità inferiore.

La prima cura, su questo tutti d'accordo, è sicuramente il costante esercizio fisico e un'alimentazione sana. Sebbene la “dieta mediterranea” sia considerata più sana e con meno grassi rispetto a quella tipica americana, la sedentarietà è di certo un fenomeno comune e diffuso anche nella nostra società, in particolare oggi.

Dai tempi dei nostri progenitori dell'età della pietra fino alla rivoluzione agricola, l'attività fisica ha sempre caratterizzato il quotidiano. Il nostro codice genetico nel corso del tempo ha così “imparato” a immagazzinare e fare scorte dei grassi assunti con i pasti dopo lunghe ricerche di cibo e grande sforzo fisico. L'organismo è quindi “programmato” a sopravvivere a lungo con le calorie disponibili e a “prevedere” un'intensa attività fisica, necessaria prima di immettere nuovo cibo.

Nel corso del tempo le abitudini e gli stili di vita sono radicalmente cambiati, si è affermata la sedentarietà a discapito dell'attività fisica, ma il nostro codice genetico ha conservato quell'antica “programmazione” a incamerare calorie e ad affrontare movimento, anche intenso. Oggi invece restiamo più spesso seduti davanti a schermi – tra televisori, computer, tablet e telefonini – e non dobbiamo nemmeno fare un lungo cammino per procacciarci del cibo (esiste persino la spesa on line!). I nostri geni sono ancora “parsimoniosi” come all'età della pietra ma il nostro organismo non brucia a sufficienza le calorie che immagazzina. Da qui il diffondersi di sovrappeso e obesità, fattori cruciali nelle patologie cardiovascolari o nel diabete.

Dal mondo scientifico arriva perciò l'invito a reintrodurre l'attività fisica, scegliendo ad esempio di fare le scale rinunciando all'ascensore, oppure di parcheggiare un po' più lontano da negozi, ufficio o casa, invece che girare per ore in cerca del posto più vicino, così da avere qualche minuto di cammino in più. Il “rimedio” a gran parte delle patologie di questa era “digitale” sta quindi, secondo gli studiosi, in un'alimentazione sana e nel movimento, che deve essere costante.

Fonte: Charlotte Observer (North Carolina) 16 maggio 2013 - Prof. Scott Gordon - University of North Carolina: Conferenza a Charlotte (NC): "Fitting Into Your Genes: The New Paradigm for Healthy Aging." (Adattarsi ai propri geni: il nuovo paradigma per invecchiare in salute).

Il resveratrolo un amico fidato per il nostro cuore

Secondo un recente studio pubblicato a fine aprile sulla testata internazionale Neurology®, esisterebbe un “legame felice” tra dieta mediterranea e invecchiamento, con un ridotto rischio di demenza senile per chi consuma in abbondanza verdura, frutta, legumi, pesce, noci e olio d'oliva, alimenti tipici dell'area del Mediterraneo.

Al centro della ricerca, condotta per quattro anni su un campione di 17.478 tra uomini e donne in età avanzata, sono state le abitudini alimentari e gli effetti su disfunzioni cognitive e ictus (studio REGARDS*). Dall'analisi dei questionari sulla dieta seguita e dai test cognitivi effettuati prima e dopo lo studio, è emerso che la dieta mediterranea, rispetto a quella “standard” occidentale, fornisce un maggior apporto di acidi grassi omega-3, a cui è stato associato un effetto protettivo sulle funzioni cognitive.

I dati dello studio su alimentazione e demenza senile parlano chiaro: nei soggetti che hanno seguito con “maggiore aderenza” la dieta mediterranea è stato riscontrato un rischio di disfunzione cognitiva inferiore dell' 11% rispetto ai soggetti che invece vi avevano aderito in modo meno costante.

“A tavola non si invecchia” secondo il detto popolare, ma battute a parte, per i ricercatori un modo per prevenire e rallentare l'insorgere dei sintomi della demenza senile starebbe proprio nell'alimentazione. Poiché non esistono ancora trattamenti definitivi per le disfunzioni cognitive, sono proprio le “abitudini modificabili”, tra cui alimentazione e stile di vita, a poter giocare un ruolo importante per mantenere la funzionalità cognitiva in età avanzata.

Oltre alla dieta mediterranea, fattori importanti per la salute e il benessere in età avanzata sono rappresentati da esercizio fisico, contenimento del peso corporeo, smettere di fumare e cure appropriate per patologie come diabete e ipertensione.

*REGARDS: Reasons for Geographic and Racial Differences in Stroke (Le ragioni delle differenze geografiche e razziali nell'ictus), realizzato dal gruppo di ricerca guidato da Georgios Tsivgoulis, MD, della University of Athens.

Il resveratrolo un amico fidato per il nostro cuore

Dai risultati di uno studio randomizzato è emerso che l'utilizzo continuativo di 350 mg al giorno di estratto d'uva arricchito di resveratrolo porta a un abbassamento significativo del colesterolo LDL (quello “cattivo”), senza evidenziare alcun effetto collaterale. Il resveratrolo è un fenolo contenuto principalmente nella buccia dell'acino d'uva a cui è da tempo attribuita un'azione antiossidante, antiinfiammatoria, antitumorale. Sembra inoltre avere la capacità di fluidificare il sangue riducendo il rischio di formazione di placche aterosclerotiche (trombi). Il ruolo protettivo nei confronti del cuore della supplementazione di resveratrolo nella dieta va ancora ulteriormente chiarito, ma i risultati di recenti studi indicano che è in grado di svolgere un effetto protettivo e preventivo delle patologie cardiovascolari superiore rispetto anche alle terapie standard a base di statine.

Pelle più giovane e bella grazie ai nutraceutici

La nostra pelle è costantemente esposta a stress ambientali di tipo ossidativo provenienti da diverse fonti: inquinamento dell'aria, esposizione ai raggi ultravioletti e ad agenti chimici ossidanti, in particolare questi ultimi sono ritenuti i principali responsabili dell'invecchiamento cutaneo. Gli integratori a base di nutraceutici – sostanze cioè di origine alimentare dalle comprovate attività salutari - con attività antiossidante, quali resveratrolo e procianidine sono risultati particolarmente efficaci nel preservare la salute della pelle. Il vantaggio della somministrazione di queste sostanze è che consentono un rilascio costante di composti bioattivi a tutti i compartimenti della pelle: epidermide, derma, e tessuti sottocutanei, consentendo di limitare lo stress ossidativo a tutti i livelli.

Donna, Antiaging e Menopausa

Regenera presenta il suo primo libro scritto a più mani da molti dei propri specialisti e dal titolo “Donna, Antiaging e Menopausa”; la stesura del libro è stata curata dal dott. Ascanio Polimeni, dal dott. Osvaldo Sponzilli e dal dott. Nicola Fratto della società scientifica partner di Regenera ”Research Institute in Clinical Homeopathy, Agopuncure, Psycotherapy and Anti-Aging Medicine”.

Come invecchiamo? Lo studio dei geni ce lo può dire

Lo studio del nostro profilo genetico, cioè della sequenza del nostro DNA, è oggi in grado di fornire ai medici molte informazioni utili per capire se un determinato individuo corre un rischio particolarmente elevato di ammalarsi ad esempio di cancro e se risponderà o meno a uno specifico trattamento.

Giuseppe Carruba, Direttore dell'Unità Operativa di Oncologia Sperimentale dell'Ospedale di Palermo, spiega come i progressi tecnologici e le nuove scoperte della biologia molecolare ci stanno indirizzando verso una nuova medicina, la medicina predittiva, in grado di prevedere e prevenire determinate malattie basandosi sulle nostre specifiche caratteristiche genetiche.

I consigli relativi a stili di vita e comportamenti non saranno più generici, ma personalizzati in base al proprio genoma, all'attività dei propri geni e alla loro regolazione. Non si tratta di fantascienza ma di effettuare specifici test del DNA che, grazie ai progressi della ricerca biomedica potranno fornire informazioni sempre più dettagliate per favorire una integrazione ottimale tra medicina preventiva e predittiva.

Equilibrio ormonale e sistema immunitario efficiente. Questo è il segreto della longevità.

«L'età biologica è lo specchio dell'efficienza delle cellule dell'organismo, e nello stesso tempo è l'indice del loro invecchiamento», afferma il dottor Ascanio Polimeni, specialista in neuroendocrinologia. «È un concetto di età diverso rispetto a quello anagrafico, ed è un patrimonio personale, perché ognuno di noi invecchia in modo diverso».

La valutazione dell'età biologica, precisa il dottor Polimeni, deve tener conto che ogni organo e apparato invecchia in modo diverso. È possibile avere un cervello da trentenne, ma un sistema immunitario da sessantenne, o viceversa.

Per determinare la salute cellulare, oltre ai numerosi test, è sempre molto importante l'approfondita indagine della storia personale del paziente: alimentazione, abitudini, «vizi», stile di vita, patologie proprie e della famiglia d'origine. I test comprendono, oltre a un check up completo, altre indagini che riguardano il sistema immunitario, il sistema ormonale e il sistema nervoso.

«Noi siamo più giovani quando le nostre difese immunitarie sono brillanti e quando i nostri ormoni sono in equilibrio. La valutazione sul sistema immunitario prevede, tra gli altri, dei test sui livelli di alcune vitamine e oligoelementi come le vitamine B6 e B12, l'acido folico e il selenio», spiega Polimeni. «Altrettanto importante è l'assetto ormonale, che dopo i 45 anni tende a squilibrarsi. Con l'età, infatti, i livelli di alcuni ormoni salgono (insulina, cortisolo, prolattina) mentre tutti gli altri calano: con i dosaggi ormonali è possibile sapere se il sistema ormonale è ancora giovane o ha bisogno di essere rinvigorito con un opportuno trattamento. Per valutare le funzioni cerebrali si usano questionari ad hoc che ci dicono a che punto è la memoria, la qualità del sonno, il tono dell'umore, la sessualità e così via».

Nel pacchetto degli esami ci sono anche test in grado di individuare lo stress ossidativo, che mostra come l'organismo si difende dai micidiali radicali liberi, e il profilo degli acidi grassi Omega 3 e Omega 6 per valutare se l'apporto nutrizionale è in grado di garantire un equilibrio ottimale di questi preziosi componenti della dieta. «A tutto questo si possono affiancare i nuovissimi test genetici, che permettono non solo di identificare l'età dei nostri geni, e quindi di valutare meglio il grado di invecchiamento dell'organismo, ma anche di mettere in atto con precisione le misure nutrizionali, dietetiche e le cure per migliorare l'età biologica e per contrastare la predisposizione individuale verso alcune patologie».

Test genetici in farmacia per valutare come si invecchia

“I test di nutrigenomica, eseguiti sulla saliva, sono oggi molto avanzati e in grado di rilevare con precisione una serie di geni polimorfici. Questi caratterizzano la variabilità genetica da un individuo all'altro, e quindi sono utili per impostare un piano dietetico-nutrizionale personalizzato.” A fare questa affermazione è Ascanio Polimeni, esperto di psiconeuroendocrino-immunologia e co-direttore di Regenera Research Group, che continua spiegando che l'obiettivo di questi test è di rallentare l'invecchiamento, prevenire le malattie legate al sovrappeso o all'obesità, come quelle cardiache e il diabete, o semplicemente di perdere i chili superflui.

Si tratta di valutare i principali fattori alla base dell'invecchiamento, come la glicazione: un processo nel quale gli zuccheri presenti nel sangue formano delle cosiddette “glicotossine” (AGEs), che scatenano una serie di processi infiammatori nell'organismo. Tra questi, uno che porta a manifestazioni facilmente visibili è l'alterazione delle fibre collagene con la conseguente comparsa delle rughe.

Naturalmente, il grado di affidabilità dei test, delle diete e degli integratori è condizionato dalla serietà di chi li propone. Attenzione, dunque, a quelli venduti attraverso internet, per essere attendibili è fondamentale che gli esami siano eseguiti da laboratori specializzati e certificati.

Attualmente è possibile effettuare questi esami anche in alcune farmacie, dove sarà il farmacista stesso a eseguire il test sfregando un tampone all'interno della guancia, e ad agire da intermediario con la società che effettua le analisi genetiche.

Lo stress: un sistema di autodifesa che va però tenuto sotto controllo

C'è quello da lavoro, da trasloco, da lutto, da divorzio, da prestazione, da esami, da vacanza e anche da ritorno dalle vacanza. C'è lo stress da pensione e quello, molto attuale, provocato dall'allontanarsi della prospettiva di andare in pensione. Senza contare quello provocato dai cellulari, dall'overdose di tecnologia, dall'inquinamento o da una cattiva alimentazione.

«Lo stress, che in inglese significa pressione, è tutto ciò che va ad alterare il nostro equilibrio psicofisico, – spiega Ascanio Polimeni, psiconeuroendocrinoimmunologo, – per situazioni oggettivamente difficili, o soggettivamente vissute come tali, o anche inavvertibili, come quelle generate dai campi elettromagnetici in chi è particolarmente sensibile. In linguaggio scientifico viene definito come “reazione attacco-fuga” cioè la risposta immediata dell'organismo a una situazione di pericolo». Si tratta di una reazione fisiologica dell'organismo, sempre esistita, che anzi ha protetto la vita dei nostri antenati, quello che invece abbiamo perso è la capacità che avevano loro di rilassarsi dopo un evento stressante in modo da dare il tempo all'organismo di riprendersi.

Che cosa succede esattamente nel nostro organismo? Nel momento di stress, l'energia affluisce in misura maggiore agli organi vitali quali cervello o muscoli a discapito, per esempio, del sistema immunitario o dell'aspetto sessuale. Se si tratta di episodi momentanei e passeggeri, questo fenomeno può rappresentare anche una benefica sferzata di energia, ma quando è protratto nel tempo, l'organismo non è più in grado di recuperare e diventa nocivo. In questo caso il cortisolo circolante, l'ormone dello stress, diventa eccessivo e si riduce la funzione di sentinella delle ghiandole surrenali. Questo provoca squilibri psico-neuro-endocrino-immunologici, con conseguente maggiore vulnerabilità alle infezioni e aumento del rischio di malattie quali diabete, obesità, osteoporosi, invecchiamento precoce, Alzheimer.

I sintomi principali di uno stato eccessivo di tensione sono: ansia, irritabilità, tachicardia, tremori, tic, senso di nodo alla gola, continua voglia di piangere, sensazione di non farcela e di continua stanchezza, disturbi del sonno, troppo o poco appetito, calo della concentrazione e della memoria, insicurezza e incapacità di prendere le decisioni. In questi casi correte ai ripari: se possibile eliminate la/le cause dell'ansia e della tensione, ricorrete a dei prodotti naturali calmanti a base ad esempio di magnesio, tiglio o taurina e se il fenomeno persiste rivolgetevi al vostro medico di fiducia che saprà consigliarvi la terapia più adatta al vostro caso.

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